Sentenza del 10/04/2018 n. 253/3 - Comm. Trib. Prov. di Padova

Legittimi i depositi telematici in presenza di ricorso cartaceo e la copia analogica dell’avviso di accertamento digitale la cui conformità è attestata da un pubblico funzionario

La sentenza offre una vasta panoramica su diversi aspetti del processo tributario telematico ricostruendo sia la normativa di riferimento che i vari filoni giurisprudenziali formatisi fino ad oggi. In primo luogo i giudici affrontano l’eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Amministrazione finanziaria con le modalità del processo tributario telematico seguito a ricorso depositato in forma cartacea. A riguardo, i giudici, dopo aver illustrato gli opposti filoni giurisprudenziali riscontrabili, ritengono di aderire alla tesi dominante secondo la quale non vi è alcuna norma che dispone che se la parte ricorrente sceglie di utilizzare il vecchio sistema cartaceo anche la parte resistente deve obbligatoriamente utilizzare tale modalità. Il combinato disposto dal comma 1 e dal comma 3 dell’art. 10 del Decreto del Ministero dell’economia e delle Finanze 23-12-2013 n. 163  implica, infatti, che se la parte ricorrente sceglie di utilizzare per l’atto introduttivo il processo telematico, la parte resistente deve obbligatoriamente utilizzare anch’essa tale modalità pure per l’altra parte e per entrambi i gradi di giudizio esperibili davanti al giudice tributario. In definitiva, sostengono i giudici padovani, una tesi volta ad estendere l’obbligo di utilizzo di tale modalità quando il processo sia stato incardinato seguendo il vecchio sistema, non può che essere frutto di un procedimento ermeneutico errato. In un’ottica interpretativa logico-sistematica è, d’altronde, impossibile giungere a conclusioni diverse da quella sostenuta in sentenza poiché tutti i servizi della Pubblica Amministrazione in senso lato, compresi i servizi giudiziari e dunque anche il processo telematico, sono da tempo impostati per la loro digitalizzazione quale perno per il miglioramento delle prestazione sia da parte che in favore degli utenti. Il secondo argomento trattato nella sentenza verte, poi, sulla violazione dell’art. 24 del D.Lgs. n. 82 del 2005, in combinato disposto con l’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, per impossibilità di verificare la validità e l’integrità della firma digitale asseritamente apposta sull’originale informatico dell’avviso di accertamento. Sul punto i giudici spiegano come anche tale censura sia infondata poiché la copia analogica dell’avviso di accertamento formato digitalmente ha la stessa valenza dell’originale quando la relativa conformità è attestata da un pubblico funzionario a ciò espressamente autorizzato. I ricorrenti hanno poi opposto la violazione dell’art. 2, comma 6, del c.a.d. il quale, nella formulazione vigente al momento della formazione degli atti impugnati, stabiliva che le disposizioni del medesimo codice non si applicavano all’esercizio dell’attività di controllo fiscale. In merito i giudici ritengono che la locuzione “attività di controllo fiscale”, formalmente esclusa, in illo tempore, dall’applicazione del c.a.d. sia da intendersi in senso restrittivo non ricomprendendovi l’atto di accertamento che non è un atto di controllo ma un provvedimento che, eventualmente, lo segue. I ricorrenti hanno, inoltre, rilevato l’assenza del “Q.R. Code”, prescritto dal comma 2 bis dell’art. 23 del c.a.d. Al riguardo la CTR spiega che l’apposizione di tale codice, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, può liberamente essere omessa da parte dell’Ufficio non esistendo al momento alcun obbligo di apposizione ma solo una mera facoltà.

Testo integrale della sentenza